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"Cognati e amanti: Francesca e Paolo nel V Canto dell'Inferno", per M. Santagata
Hemos preparado un pequeño resumen de un tema de la "Commedia" estudiada por el Prof. Santagata. Esperamos que nuestro español pueda competir en profundidad con la capacidad del Prof. Santagata:
„Cognati e amanti : Francesca e Paolo nel V Canto dell'Inferno" per M. Santagata
I Canto dei golosi comincia il suo racconto al punto esatto in cui l'aveva interrotto quello dei lussuriossi:
Al tornar de la mente che si chiuse
dinanzi alla pietà d'i due cognati,
che di trestizia tutto mi confonde,
novi tormenti e nove tormentati,
mi viene intorno [...] V 1-5
Mentre che l'uno spirto questo disse
l'altro piangea, si che di pietade
io venni men cosi com' io morisse
E caddi come corpo morto cade (V 139-42)
(...)
„I versi del Canto VI non sono un appendice del canto V se non altro perché solamente da loro il lettore viene a sapere - e si tratta di una informazione indispensabile per l'esatta comprensione del episodio - che i due amanti di Rimini erano „cognati".
(...)
Il rapporto metonimico tra le pene (''la bufera infernal', ''la piova eterna'') e dunque tra le atmosfere dei due Canti è lo sfondo sul quale si evidenziano sia il sostanziale parallelismo della loro articolazione strutturale – entrambi si aprono con la figura di un demonio (Minosse, Cerbero) e proseguono con la desccrizione del paessaggio e della pena; nell'uno e nell'altro, dalla masa delle anime dannate emerge una sola voce protagonista (pero, mentre Francesca è chiamata da Dante, Ciacco chiama lui stesso l'attenzione del pellegrino : e questa differenza di comportamento va aggiunta all'elenco dei tratti oppositivi)-, sia la similarità nell'ordito del discorso, da certe movenze sintattiche e stilistiche sino all'impostazione stessa della voce narrante [...] or son venuto / là dove molto pianto me percuote" (V 26-27); io sono al terzo cerchio, de la piova / etterna" (VI 7-8).
Se Francesca e Ciacco possono annullare la loro radicale diversità nel ricorso a un comune registro retorico (Di che udire e che di parlar vi piace, / noi udiremo e parleremo a voi (V 94-95) „tu fosti prima che io disfatto fatto" (VI 42), nell'interloquire con loro il personaggio Dante ripete formule di cortesie simile nel tono e nelle parole:
E cominciai : „Francesca, i tuoi martiri
a lagrimar mi fanno triste e pio
Ma dimmi,:al tempo [...] (V 116-118)
Io li rispuosi: „Ciacco, il tuo affanno
mi pesa si, ch'a lagrimar mi 'nvita
ma dimmi [...] (VI 58-60)
La ragione de fondo dell'omogeneità risiede nella comune radice, l'incontinenza dei peccati
di gola e di lussuria. Da questa stessa radice ha origine la contiguità delle pene.
A differenza degli altri incontinenti (avari e prodighi, iracondi e accidiosi) omogenei nei peccato, ma
esattamente especulari nella manifestazione della colpa, lussuriosi e golosi praticano vizi, per cosi ,
solidali.
Tra di loro non puo esserci scontro o zuffa: sono fratelli nella pena come lo sono stati nell'errore.
(...) Eppure i due canti sono collegati anche e sopratutto da una lunga serie di opposizioni a livello di resa letteraria.
(...) Pur nella contiguità metereologica della „bufera" e della „piova",opposta è l'atmosfera dei due cerchi:
ventosa e vorticosa quella dei lussuriosi; uggiosa nell' eterna regolarità della pioggia quella dei golosi.
E così è anche per l'ambiente: aereo nel primo Canto (non per nulla punteggiato de similitudine ornitologiche), grevemente terragno nel secondo; e per lo stesso contrapasso, che dal'irrequieta mobilità dei peccatori presi dai vortice si rovescia nel cieco e animalesco torpore delle anime prostrate al suolo. I lussuriosi (per lo meno i morti per amore, che volano in fila indiana) sono subito riconoscibili, tanto è vero che Virgilio li indica per nome; i golosi sono trasformati dalla pena sino a perdere i tratti umani („riconoscimi, se sai" v. 41) e a imbestiarsi („Urlar li fa la pioggia come cani" v. 19).
Il V è un Canto al femminile, il VI presenta solo personaggi maschili. Nel V si parla di amore e letteratura; nel VI si parla di politica. Il V popolato di eroi, di regine, di nobildonne, porta alla ribalta personaggi romagnoli di conclamata nobiltà, il VI elenca solamente personaggi di Firenze, alcuni dei quali, a cominciare dal protagonista, di dubbia notorietà.
Se il V alude al mondo delle corte feudali, anche il VI fra le righe, parla di corti, ma di quelle
'imbandite' presso le case dei ricchi fiorentini. Quella fra nobili di sangue e aristocrazia del
denaro è l'opposizione che sussume quasi tutte le altri. Talmente forte da investire la stessa
figura del personaggio Dante: mentre nel V il Dante storico è interamente risolto dentro la
figura del Dante personaggio, l'impianto politico del VI conferisce al suo personaggio uno
statuto autobiografico molto più definito.
(...)
Per quanto riguarda Francesca e Paolo, la domanda da farsi è se la loro storia voglia unicamente esemplifica lo scacco del singolo dinanzi alle forze del desiderio, quello della razionalità di contro agli appetiti, insomma il conflittuale rapporto tra libero arbitrio e fatalità della passione secondo le letture più acreditate) o sia anche, se non sopratutto, una rappresentazione simbolica di comportamenti culturali e sociali determinati. E altretanto si può dire per Ciacco.
Lussuria e gola, cioè, possono essere visti come peccati dei singoli (e in quanto tali, tra loro omogenei), oppure come peccati sociali, tipici di ambienti diversi, e perciò, passibili di rappresentazione contrapposte.
„Lussuria" e „gola" di presentano appaiate, prima che nell'Inferno, nella canzone Poscia ch'Amor del tutto m' ha lasciato:
Qual non dirà fallenza
divorar cibo ed a lussuria intendere?
Ornarsi, come vendere
si dovesse al mercato di non saggi?
ché 'l saggio non pregia orn per vestimenta,
ch' altrui sono ornamenta,
ma pregia il senno e li genti coraggi (vv 32-38)
(...)
Lussuria e gola sono vizi dei „falsi" leggiadri, dei falsi cavalieri che no operano secondo virtù e non si attengono, nei comportamenti pubblici, al giusto mezzo.
Sono dunque vizi, insieme alla prodigalità, all'avarizia, all'incapacità di „donneare" (cioé, di amare donna amorosa [v. 49], non limitandosi a „pigliar villan diletto" [v. 54] ) di coloro che credono di attegiarsi da „leggiadri" e invece ignorano i fondamenti della vera leggiadria. Vizi sociali e pertanto, o meglio ancora, vizi di un determinato ceto sociale. Tanto più che nella canzone „lussuria" no designa soltanto leccesso sessuale ma [in accordo con l'uso medievale di luxuria quale è documentato dai lessicografi] si estende a significare classicamente l'inclinazione al lusso e allo sperpero" (...)
Fondamento della leggiadria è la virtù, che a sua volta è l'elemento costitutivo della nobiltà. Poscia ch'Amor rimanda necessariamente a la precedente canzone La dolce rima d'Amor ch'i' solia. Alla canzone cioé che confuta l'idea di nobiltà di sangue a favore della tesi che essa sia un dono divino elargito senza distinzione sociali. La stessa virtù deriva dalla nnobiltà, rigurosamente intesa come nobiltà d' animo.
Con queste due canzoni risaliamo al Dante prima dell'esilio, ancora immerso nelle polemiche cittadine e ancora convinto di dovere esercitare un ruolo didattico nei confronti dei suoi concittadini. La radicalità della canzone sulla nobilitas non solo non esclude l'intento pedagogico, ma anzi, pur nel pesimismo presente, dà vita con la canzone della „leggiadria" a un vero programma di aculturazione: si trattava di fissare un codice gentile per i potentes di Firenze, nobili di sangue o grandi di nuova ricchezza che essi fossero.
(...)
Francesca parla d'amore e di letteratura. Purtroppo quello che lei chiama amore è lussuria e la letteratura di cui fa sfoggio non sempre è buona letteratura.
(...)
Fonte: „Cognati e amanti Francesca e Paolo nel V dell'Inferno" Pisa, diciembre 1997 pp 120-124"
NdR: El Prof. Santagata ha publicato "Come donna innamorata" editado por la Universidad de Salamanca y organizó el "Dante Posticipato" este verano. Es parte de un proyecto de informática relacionado con las Humanidades y estudioso de Dante.