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Ritrovate sull’Appennino le tracce fossili dei più antichi pesci abissali per UniPi news

La scoperta retrodata la loro comparsa di 80 milioni, ricerca pubblicata su PNAS

Scoperte sull'Appennino le evidenze dei più antichi pesci abissali al mondo. Il ritrovamento delle tracce fossili retrodata la comparsa di questi vertebrati di 80 milioni di anni, al tempo dei dinosauri. La notizia arriva da una ricerca condotta da un gruppo internazionale di scienziati guidato dal paleontologo italiano Andrea Baucon e di cui fa parte il professore Luca Pandolfi del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa. Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS - Proceedings of the National Academy of Sciences.

"Quando abbiamo trovato questi strani fossili in tre siti paleontologici nei dintorni di Piacenza, Modena e Livorno (che dal punto di vista geologico fa parte dell'Appennino Settentrionale), non potevamo credere ai nostri occhi", racconta il professore Pandolfi.

Il motivo dello stupore è la loro età, che precede di milioni di anni ogni altra testimonianza di pesci abissali. I fossili appena scoperti risalgono infatti all'inizio del Cretaceo (circa 130 milioni di anni fa) e rivelano la presenza dei pesci abissali già al tempo dei dinosauri.Ma non basta, si tratta di reperti particolarmente rari ed insoliti. Non sono infatti ossa, ma tracce che registrano il comportamento di animali scomparsi milioni di anni fa, come l'impronta sinuosa della coda di un pesce che nuotava vicino al fondale o le escavazioni prodotte da esemplari in cerca di cibo.

Per capire il comportamento di questi primi vertebrati abissali i ricercatori hanno quindi esplorato le profondità dell'Oceano Pacifico per studiare le chimere, o gli squali fantasma. Le tracce fossili sono risultate identiche a quelle prodotte dai pesci moderni che si nutrono grattando o aspirando i sedimenti, in particolare i Neoteleostei, il gruppo di vertebrati che include i moderni 'pesci-lucertola' (Bathysaurus).
"Le tracce fossili appena scoperte sono paragonabili alle impronte degli astronauti sulla Luna", dice Baucon "sono reperti che riscrivono il 'come' ed il 'quando' della colonizzazione degli abissi da parte dei vertebrati, un evento ancora poco compreso dalla scienza, dato che si tratta di ambienti che spesso precludono la fossilizzazione".

 Tracce fossili prodotte da pesci e ricostruzione del loro meccanismo di produzione. Foto di un campione reale e ricostruzione 3D a falsi colori di un altro campione. Negli sketch un tentativo di ricostruzione del meccanismo di produzione delle tracce fossili di alimentazione a scodella (fp), secondo il quale un pesce espone la sua preda al flusso dell'acqua e ricostruzione del meccanismo di produzione delle piste di movimento(st) e di nutrizione (ft).

Da qui, ancora, l'eccezionalità del ritrovamento che ci racconta come migliaia di metri sotto la superficie dell'Oceano Ligure-Piemontese, i primi pesci abissali affrontassero condizioni ambientali estreme. Oscurità totale, temperature prossime allo zero e pressioni colossali mettevano alla prova la sopravvivenza di questi pionieri. Come se non bastasse, correnti torbide spazzavano le vaste pianure fangose pattugliate dai pesci in cerca di cibo. Queste condizioni estreme hanno richiesto adattamenti specifici, innovazioni evolutive altrettanto significative di zampe e ali che hanno permesso la colonizzazione della terra e dell'aria.

Lo studio, finanziato della Fondazione per la Scienza e la Tecnologia attraverso fondi nazionali (PIDDAC), ha beneficiato della collaborazione di istituzioni scientifiche di Italia (Università di Genova, Modena e Reggio Emilia, Padova, Pisa, Parma; Museo di Storia Naturale di Piacenza; Museo di Scienze Naturali dell'Alto Adige), Portogallo (Geoparco UNESCO Naturtejo; Università di Lisbona), Inghilterra (Università di Newcastle), Spagna (Università di Siviglia e Barcellona), Australia (Università dell'Australia Occidentale), Scozia (Università di Aberdeen). Lo studio ha beneficiato di un significativo finanziamento da parte della Fondazione per la Scienza e la Tecnologia attraverso fondi nazionali (PIDDAC).

(De: https://www.unipi.it/index.php/news/item/26584-ritrovate-sull-appennino-le-tracce-fossili-dei-piu-antichi-pesci-abissali)
...work on progress!

In supreme dignitatis: i 680 anni dell’Università di Pisa...

Il 3 settembre 1343 Papa Clemente VI emanò la bolla che istituì ufficialmente l'Ateneo pisano

Non un semplice motto, ma l'inizio di una storia di eccellenza. La bolla In supreme dignitatis, con cui Papa Clemente VI

riconobbe allo Studio Pisano lo status di Studio Generale, compie 680 anni.

Era il 3 settembre del 1343, infatti, quando il Pontefice emanò quello che è uno dei più antichi  A UNIPI23

privilegi concessi da un Papa per istituire sul territorio italiano una struttura autorizzata a rilasciare

un titolo di studio dal valore legale universale.

Nel documento, le cui parole iniziali compaiono oggi nel logo dell'Università di Pisa, il desiderio di

Clemente VI che Pisa «possa divenire anche terreno fecondo di doni delle scienze, affinché generi

uomini dotati di maturità di giudizio, incoronati di virtù ed esperti nelle dottrine delle diverse facoltà,

e affinché vi sia lì una fonte di conoscenza continuamente sgorgante, al cui flusso abbondante possano attingere tutti coloro

che bramano di placare la loro sete sui libri».

"Con una certa dose di preveggenza, la bolla di Clemente VI sembra immaginare già quel Sistema-Pisa che vede, nella nostra

città, una concentrazione unica di competenze e strutture nel settore della ricerca, della formazione e della cultura.

Un potenziale che Pisa deve sfruttare fino in fondo e di cui la nostra Università è il pernio centrale – ha commentato il

Rettore, Riccardo Zucchi – Oggi la sfida che abbiamo di fronte è proprio questa, rendere compiuto questo Sistema e

innalzare sempre di più la qualità della nostra ricerca e della formazione, così da dare risposte adeguate alle necessità dei

nostri studenti e della società. Non basta essere orgogliosi del proprio passato, ma è necessario essere all'altezza della

propria storia. A BOLLAClemente

Ricorrenze come questa, ci impongono di rinnovare, senza indugi, quell'impegno a valorizzare i

talenti per raggiungere una "adeguata eccellenza" contenuto, seppur tra le righe, nella bolla del

1343".

Conservata presso l'Archivio di Stato di Pisa, la bolla In supreme dignitatis è stata emanata il 3 settembre 1343 nel

palazzo papale di Villeneuve-lès-Avignon, cittadina sulla riva del Rodano opposta ad Avignone. A ClementVI 23

Nel 2021 l'Università di Pisa, con il supporto del Rotary Club Pisa Galilei, ha pubblicato la prima

traduzione in italiano e prima edizione critica della bolla, curata dal professor Paolo Pontari ed edita dalla

Pisa University Press.

(De: UniPi News. Fotos: Google; Papa Clemente VI, modificada por la Redacción)

 

Scoperto in Perù l’animale più pesante mai vissuto, il cetaceo Perucetus colossus per UniPi news

VERSIONE SPAGNOLA

Dal Deserto di Ica, lungo la costa meridionale del Perù, riaffiorano i resti fossilizzati di uno straordinario animale risalienteA ICA desierto

a quasi 40 milioni di anni fa: un antenato delle balene e dei delfini caratterizzato da osse 

ossa grandissime e pesantissime che fanno pensare a un mostro marino dalle proporzioni titaniche.

Un articolo appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature presenta una prima analisi

di questo eccezionale cetaceo, a cui è stato dato il nome di Perucetus colossus in onore del paese sudamericano in cui è

stato rinvenuto e in riferimento alla sua taglia letteralmente colossale.

Il gruppo internazionale di scienziati autori della ricerca vede in primo piano i paleontologi del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa: il professor Giovanni Bianucci, primo autore e coordinatore della ricerca, il dottorando Marco Merella e il ricercatore Alberto Collareta.

Allo studio hanno partecipato anche altri geologi e paleontologi italiani provenienti dalle università di A PERUcetus 2

Milano-Bicocca (la ricercatrice Giulia Bosio e la professoressa Elisa Malinverno) e Camerino (i

professori Claudio Di Celma e Pietro Paolo Pierantoni), affiancati da ricercatori peruviani e di

diverse nazionalità europee.

Le ossa fossili di questo cetaceo primitivo sono state recuperate in successive campagne di scavo e sono

ora conservate presso il Museo di Storia Naturale di Lima. Consistono di tredici vertebre, quattro

costole e parte del bacino, quest'ultimo a indicare che Perucetus era ancora provvisto di piccole zampe posteriori, una

condizione riscontrata anche negli altri Basilosauridi, il gruppo di cetacei arcaici a cui è stato riferito questo nuovo mostro

marino.

"Sebbene lo scheletro da noi studiato non sia completo, stime rigorose basate sulla misurazione  A PERUCETUS 1

delle ossa conservate e sulla comparazione con un ampio database di organismi attuali e fossili –

spiega Giovanni Bianucci – indicano che la massa scheletrica di Perucetus era di circa 5-8

tonnellate, un valore perlomeno doppio rispetto alla massa scheletrica del più grande animale

vivente, la balenottera azzurra.

Il pesantissimo scheletro di Perucetus, che in vita avrebbe raggiunto i 20 metri di lunghezza, suggerisce che la massa

corporea di questo antico cetaceo potesse raggiungere le 340 tonnellate, quasi il doppio della più grande balenottera

azzurra e oltre quattro volte quanto stimato per l'Argentinosauro, uno dei più grandi dinosauri mai rinvenuti".

Perucetus rappresenta dunque un ottimo candidato al ruolo di animale più pesante di tutti i tempi, un record da cui verrebbe

scalzata proprio la balenottera azzurra. Le implicazioni paleobiologiche di una simile scoperta sono di estrema importanza.

"L'enorme massa corporea di Perucetus – prosegue Bianucci – indica che i cetacei sono stati a cetuspe

protagonisti di fenomeni di gigantismo in almeno due fasi: in tempi relativamente recenti, con

l'evoluzione delle grandi balene e balenottere che popolano gli oceani moderni, e circa 40 milioni di

anni fa, con la radiazione dei Basilosauridi di cui Perucetus è il rappresentante più straordinario".

Lo studio di un simile 'peso massimo' è stato certamente eccitante ma non privo di difficoltà: "Ciascuna delle vertebre di Perucetus è talmente pesante (la più leggera pesa oltre 100 kg) da richiedere diverse persone robuste per ogni minimo spostamento – racconta Marco Merella – Oltre a rendere più difficili le fasi di scavo e preparazione, ciò ha complicato fortemente l'analisi osteoanatomica dei reperti. Ci siamo quindi rivolti alle innovative metodologie della paleontologia virtuale e in particolare alla scansione a luce strutturata, per acquisire ed elaborare modelli tridimensionali di dettaglio di tutte le ossa raccolte. Questi modelli ci hanno poi permesso di proseguire lo studio una volta ritornati a Pisa; infatti, è proprio grazie alla scansione a luce strutturata che è stato possibile stimare in maniera rigorosa il volume dello scheletro, fornendo così un supporto quantitativo alla ricostruzione della forma del corpo e del modo di vita di questo eccezionale cetaceo estinto".

 "La taglia titanica delle ossa di Perucetus rappresenta certamente il tratto più appariscente di questa nuova specie – afferma Alberto Collareta – ma l'enorme massa ricostruita per l'intero scheletro riflette anche l'alto peso specifico della tipologia di tessuto osseo di cui esso si compone. Tutte le ossa di Perucetus, infatti, sono costituite da osso estremamente denso e compatto, simile a quello che si rinviene, anche se in maniera decisamente meno marcata, nei sireni attuali. Questi mammiferi abitano in acque costiere poco profonde, dove uno scheletro particolarmente pesante funziona da 'zavorra', facilitando così l'alimentazione al fondale ed aumentando l'inerzia all'azione delle onde. L'ispessimento e appesantimento dello scheletro, in termini tecnici pachiosteosclerosi, che accomuna Perucetus ai sireni non si rinviene in nessun cetaceo attuale. Dunque, benché sia difficile fornire un'interpretazione paleoecologica di questo straordinario adattamento, è probabile che esso fornisse a Perucetus la stabilità necessaria per abitare acque agitate prossime alla linea di costa. Perucetus si alimentava probabilmente presso il fondale, forse privilegiando la ricerca di carogne di altri vertebrati marini come fanno oggi alcuni grandi squali".

Gli studi presso l'Università di Milano-Bicocca si sono concentrati sulla ricostruzione della stratigrafia e sulla datazione dell'antico antenato delle balene. "Sulla base di studi micropaleontologici di specie planctoniche e di una datazione radiometrica di una cenere vulcanica trovata nelle vicinanze del reperto – aggiungono Elisa Malinverno e Giulia Bosio– abbiamo potuto stimare un'età compresa tra 39.8 e 37.84 milioni di anni per questo fossile. Perucetus colossus viveva quindi nell'epoca denominata Eocene, quando gli antenati dei cetacei attuali stavano abbandonando lo stile di vita terrestre a favore di quello marino".

Claudio Di Celma e Pietro Paolo Pierantoni della sezione di Geologia dell'Università di Camerino hanno realizzato lo studio geologico-stratigrafico dell'area in cui è stato scoperto Perucetus colossus. "Attraverso lo studio delle rocce sedimentarie che lo contenevano – spiega Claudio Di Celma – abbiamo contribuito alla ricostruzione dell'ambiente in cui questo antico mammifero marino ha vissuto. Dove oggi c'è un deserto che si estende per centinaia di chilometri lungo la costa del Perù meridionale, in passato si trovava un ampio bacino marino, il Bacino di Pisco, caratterizzato da una notevole abbondanza di nutrienti e una ricca biodiversità".

 Per quanto la scoperta di Perucetus sia stata inaspettata, non lo sono il luogo e le modalità con cui essa è avvenuta. "Il ritrovamento delle prime ossa di Perucetus risale a tredici anni fa ed è merito di Mario Urbina, ricercatore di campo e vera e propria leggenda vivente della paleontologia peruviana – spiega Bianucci – ed è solo grazie alla perseveranza di Mario che lo scavo pluriennale di questo straordinario (e pesantissimo) fossile è stato possibile. È stato proprio Mario a realizzare che il Deserto di Ica - una delle aree più aride del pianeta - è sede di uno dei più grandi giacimenti di vertebrati fossili del mondo".

Il patrimonio paleontologico del Deserto di Ica

Da una quindicina d'anni, grazie a una serie di progetti di ricerca nazionali e internazionali (molti dei quali a guida dell'Università di Pisa), questo eccezionale patrimonio paleontologico viene adeguatamente valorizzato attraverso la ricerca scientifica portata avanti da un gruppo affiatato e multidisciplinare di cui i paleontologi peruviani sono parte integrante. Il Deserto di Ica è quindi diventato scenario di molte scoperte da record: dal più antico cetaceo quadrupede ad aver raggiunto l'Oceano Pacifico, al più antico antenato delle attuali balene, senza dimenticare l'enorme capodoglio predatore Livyatan melvillei; scoperte che confermano il ruolo di primissimo piano della paleontologia pisana nel campo dei mammiferi marini.

 Lo studio dei cetacei del Deserto di Ica e delle condizioni eccezionali che hanno portato alla formazione di questo straordinario giacimento fossilifero proseguirà negli anni a venire, anche grazie ad un nuovo finanziamento ministeriale (PRIN) coordinato proprio dall'Università di Pisa. "Scommetto che le sorprese non sono finite", conclude Bianucci.

(De: UniPi News, julio 2023).

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