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La Laguna (66) di N. Cataldo
NdR: Mille grazie e Buona Pasqua, Nico!
Ciao a tutti e buona Pasqua!
O meglio, come si dice qui, buona settimana santa! Perché le date qui sono leggermente diverse da quelle italiane.
Qui in Spagna le scuole e anche le università hanno chiuso sabato 24 marzo e riapriranno lunedì 2 aprile.
Il che significa che sono in vacanza da (e ancora per) qualche giorno. Infatti, vi scrivo dal salone del divano di casa mia nel primo pomeriggio di quest'ultimo mercoledì del mese di marzo.
Dopo alcuni giorni di meritato relax, oggi ho deciso di rimanere a casa per correggere qualche esame, preparare le lezioni della settimana prossima e scrivervi questo blog. ;)
Perché proprio oggi? Per esempio perché oggi c'è calima in tutta l'isola. Si tratta di sabbia che a
volte si alza dal Sahara e crea un effetto simile alla nebbia milanese. Quindi meglio rimanere in
casa e rimandare la spiaggia ad uno dei seguenti giorni.
Che cosa ho fatto nel mese di marzo? Poche cose perché si è trattato di un mese contraddistinto da molto lavoro.
E, quindi, proprio per questo motivo, questo blog sarà probabilmente più breve degli altri. Però nel poco tempo libero mi sono dedicato ad attività molto tranquille e rilassanti. Per esempio? Un po' di calcio, qualche cena fuori, qualche serie televisiva e una piacevole visita.
Visto che parlavo di attività tranquille, devo purtroppo ammettere che si è trattato solo di calcio
passivo e, in concreto, delle avvincenti partite di Champion's League viste con alcuni amici a casa
mia o in qualche bar.
E ad aprile si prevedono partite anche più belle dato che siamo arrivati ai quarti di finale con ancora in lizza le principali favorite.
Per quanto riguarda le serie, continuo a seguire The walking dead anche se, ormai, la stanno portando troppo per le lunghe.
E, in più, nelle ultime settimane mi sono fatto prendere da una nuova serie spagnola dal titolo Fariña che si basa sulla storia vera di alcuni pescatori galiziani degli anni '80 che sono poi diventati i re del narcotraffico in Europa.
Questo telefilm sta avendo un grandissimo successo in tutto il paese anche perché ha il fascino del proibito visto che un giudice ha vietato la vendita del libro su cui si basa la serie. Evidentemente in Gallizia sta ottenendo un successo ancora più grande. A me piace molto per vari motivi: mi ricorda abbastanza Narcos e soprattutto mi riporta alla mia amata Gallizia e alle incredibili sensazioni vissute ad agosto durante il Camino de Santiago.
In quanto alle cene con gli amici, sono stato in un ristorante italiano a cinque minuti a piedi da casa e un paio di volte in una specie di trattoria andalusa a La Laguna dove si beve dell'ottimo vino e si respira un'atmosfera simpatica ed informale.
Domenica scorsa, invece, sono ritornato a Tajao, piccolo paese di pescatori famosi per il pesce
appena pescato dov'ero stato l'ultima volta a dicembre in occasione dell'ultima visita del mio
amico Pepe e della sua famiglia.
Ma, siccome bisogna alimentarsi anche di arte, il terzo sabato del mese sono stato in un teatro a
Tacoronte per vedere uno spettacolo interessantissimo, interpretato magistralmente da due giovani attori canari, sulla
relazione tra due artisti spagnoli del ventesimo secolo famosi in tutto il mondo, Salvador Dalí e Federico García Lorca.
Ieri mattina, invece, sono andato al TEA, biblioteca-museo-cinema a dieci minuti scarsi da casa dove sono stato centinaia di
volte.
Questa volta però è stata davvero speciale perché (grazie agli amici giusti;) ho potuto godere di
un tour guidato da parte dello stesso direttore del museo. Prima ci ha magistralmente presentato
le opere di Aube Bretón, pittrice surrealista e figlia dell'artista francese André Bretón, fondatore
del surrealismo e intimo amico del pittore canario Oscar Domínguez.
E poi ci ha accompagnato alla cantina del museo dove si conservano moltissime opere che non vengono esposte nelle sale del museo per mancanza di spazio.
È stato un autentico lusso potere ammirare queste opere e capirle attraverso le opere di un grandissimo
esperto d'arte come il direttore del TEA. Alla fine dei conti, basta avere i contatti giusti, no? ;)
E a proposito di ottimi contatti, la settimana scorsa ho ricevuto la visita di Jesús, un professore di Economia a Madrid che è venuto a Tenerife per partecipare alla giornata della Memoria per le Vittime delle Mafie che, con l'aiuto di alcuni amici e collaboratori, abbiamo organizzato presso il Museo Militare di Santa Cruz.
È arrivato a casa mia, grazie ad un'amica in comune ed è stato un vero piacere conoscerlo e
poter contare sul suo appoggio ad una causa così importante e nobile. E come al solito, è stata
anche la scusa ideale per uscire a cenare in un famosissimo ristorante canario a due passi da
casa con lui e con un paio di amici siciliani.
Per il resto poco altro: una visita al Padre Teide, una passeggiata al Médano e qualche caffé e/o birra con qualche amico che non vedevo da un po'.
Il tutto in attesa dell'ultimo fine settimana di marzo durante il quale riceverò la visita del mio amico
di Gran Canaria Doramas che non vedo da quasi due mesi e con il quale sicuramente ci
concederemo una serata di follia in giro per i bar de La Laguna. Anche perché ne ho proprio
bisogno prima di rituffarmi nel ritmo di intenso lavoro che si prevede nei prossimi due mesi.
E, quindi, fatela anche voi qualche pazzia ogni tanto!
Ora vi lascio e vado a correre un pochino perché ultimamente ho fatto davvero poco sport e dovrei
iniziare a prepararmi seriamente per la mia prossima mezza maratona a fine aprile della quale vi
parlerò nel prossimo blog.
E allora ci sentiamo il mese prossimo!
Un abbraccio
Nico
Viaje por Italia por A. de Azcárraga (15)
En las termas de Diocleciano. –La escultura griega y Unamuno. –El hombre como heredero y destructor.
«Todo pasa en la vida, todo es nada...»
Esta frase del viejo poema hindú me la repetía yo una mañana en Roma, en la plaza de Venecia, mirando los balcones de un palacio que hace siglos fue residencia de papas; un gran palacio de fábrica medieval ya templada por la elegancia del Renacimiento. Allí tuvo también su despacho Benito Mussolini, y desde esos balcones lanzaba aquellas fogosas arengas que conmovían a las cancillerías y hoy no recuerda nadie. Ahora el palacio es un museo, sin apenas visitantes, dedicado a las artes decorativas y en el que acababa de ver una colección de estatuillas de bronce y terracota; pequeñas pero notables piezas en las que el espíritu renacentista vertía sus sentimientos más delicados.
Todo pasa... También las Termas de Diocleciano, centro de esplendor y bullicio en su tiempo, son hoy un silencioso y casi ascético museo de escultura. Arrancados los mosaicos y mármoles que revestían sus paredes, vaciados sus nichos de los numerosos dioses que cobijaban, desaparecidos jardines, piscinas y palestras, estos antiguos baños públicos solo pueden ofrecernos un pobre reflejo de lo que fueron: los suntuosos lugares que más gustaban de frecuentar los romanos y cuyo acceso era asequible incluso a los ciudadanos más modestos. Los mismos emperadores iban allí para aumentar su popularidad, como hoy van al rugby o al futbol muchos jefes de Estado.
El origen de estos edificios, según su nombre revela, es griego: los romanos fueron escasamente innovadores. Pero las Termas de Diocleciano, como las de Caracalla y otras que visité, muestran la tendencia colosalista imperial: sus muros tienes espesores de dos y tres metros, y algunas de sus salas alcanzan la increíble anchura de un centenar. Es estas inmensas salas, alineados y clasificados, contemplé fragmentos de mosaicos, sarcófagos romanos y paleocristianos, y una soberbia e inacabable procesión de esculturas romanas y griegas o de copias romanas de otras griegas que se perdieron: el Discóbolo, la Venus de Cirene, la de Doidalsas...
Unido a las Termas y formando parte del museo, hay un viejo convento cuyo claustro guarda la famosa colección del cardenal Ludovisi, la que estudio y clasifico Winkelman, el padre de la historia del arte. La obra ante la que más largamente me detuve fueron los relieves del llamado Trono Ludovisi, estupendo testimonio de la figura y delicadeza que alcanzo el arte griego en el siglo de Pericles. Son relieves que no parecen cincelados, sino acariciados y, en las líneas de pliegues y perfiles, levemente arañados con las uñas.
Aunque este museo se llame Nacional Romano, lo mejor y más importante de él son las esculturas griegas. Si a ellas se añade las que ya había visto en el museo Capitolino y otros lugares, y las que después vería en el Vaticano, el conjunto resulta masivo, impresionante. Y, sin embargo, tal acumulación es un mínimo residuo de las esculturas que llego a tener Roma tras el despojo del mundo griego; escritores latinos de aquel tiempo decían que la población de estatuas de Roma era tan numerosa como su población civil.
El helenismo había logrado imponerse pese a la resistencia de los eternos xenófobos del género Catón –ese tipo tan encomiado, y para mi siniestro, que recomendaba la venta de los esclavos ancianos porque el trabajo que rendían no compensaba su alimentación –. La Grecia vencida, como reconocía Horacio, había conquistado espiritualmente a la Roma vencedora, y el propio Cicerón confesaba la superioridad de los griegos, aunque reservando para los romanos la primacía en moral y tradiciones – las «sacrosantas y veneradas» que esgrimen todos los que sienten superados–. Aun hoy seguimos regateando a Grecia lo que es suyo, pues lo que llamamos latinidad es, en sus tres cuartas partes, helenismo.
Concretándome a la escultura griega del Capitolino y de las Termas, lo que en ella encontré más admirable fue también, como en la escultura florentina, su difícil y perfectísimo equilibrio, esta vez entre realismo y abstracción. Allí pude advertir muy bien que las estatuas griegas, las del periodo clásico, son todas naturalistas, pero no individualizadas, o dicho inversamente, son obras idealizadas, pero con fuerte apoyo en la realidad.
La escultura griega tuvo por tema la representación de dioses. Incluso con su sensualidad, el arte griego fue, aunque hoy nos cueste verlo, un arte religioso; y arte religioso, tampoco hay que olvidarlo, de una religión antropomórfica. Los dioses, por tanto, eran concebidos humanamente, y de ahí su naturalismo; pero sin dejar de ser dioses, y de ahí su idealización.
La perfecta síntesis de ambos componentes en la estatuaria griega dio como feliz resultante su serenidad, su clasicismo –que es y será ya para siempre el clasicismo por antonomasia–. Cuando los griegos, en el periodo helenístico, empezaron a perder su fe, el equilibrio se descompuso en favor del naturalismo.
Grecia no considero el cuerpo humano, como después haría el Cristianismo, materia despreciable y origen de todo mal. ¡Como juzgar el cuerpo así cuando los dioses lo poseían también! Los griegos glorificaban el cuerpo, todo el cuerpo. Por eso no tallaron la pupila a los ojos ni acentuaron los rasgos del semblante, para evitar que se concentrara la vida en la cabeza y quedaran inertes tronco y extremidades, que ellos juzgaban de igual valor.
Los griegos exaltaron la vida total. Hoy, dado que el pecado y la preocupación de la muerte constituyen la esencia de las vigentes religiones, los griegos serian tenidos por muy poco religiosos. A ellos les importaba solo gozar la vida en su plenitud; la muerte la juzgaba un final irremediable al que había que someterse dignamente, pero en lo que más valía no pensar. Unamuno, profesor de griego, fue por las razones que digo lo más antihelénico que cabe imaginarse.
Siento por el buen rector de Salamanca una considerable y sincera admiración; pero esa rebelión suya contra la muerte, esa su empecinada negativa a aceptarla, su no querer «dimitir» como el decía, de la vida; toda su interminable pataleta en este asunto, a más de perfectamente inútil, la encontré siempre poco lógica. Si a Unamuno le parecía absurdo el tener que acabar, sin desearlo, un cierto día, ¿por qué no considero igualmente absurdo que otro día ya pretérito, y también forzosamente sin quererlo –puesto que aún no podía querer–, empezara a vivir?
Frente a la muerte, la postura griega –como, por otras razones, la cristiana o la hindú– era mucho más sensata que la unamunesca.
La vida puede aceptarse o no, pero íntegramente, sin hacer distingos que son ociosos en la práctica y, racionalmente, puro contrasentido. El que acepta la vida, acepta simultáneamente la muerte, porque solo lo que no vive no se muere; más aún, si no existiera la muerte, nuestra vida sería otra cosa, pero no vida –o por vida entenderíamos algo por completo diferente–. Y la vida que a Unamuno le importaba era esta que tenemos, de la que es parte esencial algo por completo diferente–. Y la vida que a Unamuno le importaba era esta que tenemos, de la que es parte esencial e intrínseca la muerte, y que sin ella no sería –como la luz resultaría impensable de no existir la oscuridad–.
El que rechaza la muerte debe, pues, si es consecuente, rechazar también la vida –y nada hay que esté más al alcance de mano–. Y aun añadiré, como postrera consideración, que el valor o el miedo frente a la muerte es asunto personal, perfectamente respetable; pero que la constante exhibición de nuestra intima actitud, impávida o empavorecida, no me parece espectáculo interesante y, si me apuran, ni siquiera decoroso.
Aparte estas reflexiones más o menos congruentes, la contemplación, en lugares como las Termas, de tantas obras de la Antigüedad, posee la virtud de despertar nuestra dormida conciencia de herederos del pasado. Todos los hombres somos herederos, y muy ricos herederos –aunque personalmente no tengamos dos reales– de las generaciones que nos han precedido sobre la tierra. Todas estas bellezas que podemos contemplar, todos los hermosos libros que podemos leer, casi todo lo que sabemos, son parte de esta herencia. Una parte tan solo; porque hay otros infinitos bienes que también nos legaron los antepasados: los puertos y carreteras, las plazas y jardines de que disfrutamos y los descubrimientos e invenciones de que nos servimos...
Hoy, un ciudadano de nivel medio no puede, claro está, comparar su poder con el de Felipe II; pero vive en mejores condiciones que vivió este rey. Su casa está más caldeada, mejor iluminada por la noche, duerme en un lecho más cómodo, tiene más variada e higiénica alimentación y, si quiere trasladarse de Madrid a El Escorial, lo hace más confortablemente y en mucho menos tiempo que aquel poderoso rey, que necesitaba dos jornadas para ese viaje y terminaba molido.
No hay que acudir, pues, a sutilezas psicoanalíticas para que el antiguo culto a los lares y penates, la ya perdida veneración a los antepasados sea una cosa perfectamente comprensible.
Pero el hombre es también un ser ferozmente destructivo. Las guerras, el fanatismo y el mero gusto de la destrucción han aniquilado muchas obras, infinitamente más de las que se conservan. Todos los museos del mundo serian de una ridícula insuficiencia para contener todas las obras de arte que los cristianos destruyeron a los paganos y los musulmanes a los cristianos, las destrozadas por los iconoclastas de la Edad Media o por los reformistas protestantes, o por simple energúmenos, como aquel Médicis de la rama popular, Lorenzino, que solo por llamar la atención decapitaba las estatuas antiguas de Roma.
Algunas veces, el hombre ha destruido bellas cosas para fabricar otras también bellas. El bosque de columnas de la mezquita de Córdoba es el resultado del pillaje de monumentos por todo el Mediterráneo; los mármoles que recubren la basílica veneciana de San Marcos son también producto del saqueo. El palacio de la plaza de Venecia de que antes hablaba se edificó con la piedra que le falta al Coliseo; el palacio Barberini, con la extraída del Foro. Los más de los antiguos monumentos romanos no están hoy en ruinas por la injuria del tiempo, sino por la rapacidad de los hombres, que los utilizaban de cantera. Y entre estos hombres cabe destaca a los muy cultos e inteligentes –pues lo eran– miembros de la familia Barberini, los del palacio de su nombre, que dieron lugar a la conocida frase: «Lo que no hicieron los barbaros lo hicieron los Barberini»
También las columnas salomónicas del baldaquino de San Pedro las fabrico Bernini fundiendo los bronces que Urbano VIII, papa de la familia Barberini, hizo arrancar del Panteón, monumento el más grandioso y, pese a tal despojo, mejor conservado de Roma.
Me enteré de ese detalle, al visitarlo, por las explicaciones que escuché en el aparato parlante. Y como la descripción del Panteón merece algún espacio, abriré para él nuevo capítulo.
La Laguna (65) di N. Cataldo
Ciao a tutti e buona primavera... o quasi;)
Come va? Spero bene. Qui, (hangover a parte;) tutto ok... per il momento. Vi scrivo, infatti e a proposito, nel pomeriggio di questa prima domenica del mese di marzo per evitare di scrivervi domani quando purtroppo si sapranno già i risultati di una giornata elettorale in Italia che non promette niente di buono.
È che non mi va di parlare di politica e soprattutto non ho nessuna voglio di rovinarmi la giornata. Preferisco, invece, parlarvi di un mese di febbraio breve, ma davvero intenso anche perché contraddistino da varie visite e da un bel viaggetto.
E proprio da lì voglio iniziare. Da dove? Da Barcellona dove sono stato durante il primo fine settimana del mese per fare visita a Manu e Doramas approfittando del weekend più lungo del normale grazie alla Vergine di Candelaria, patrona dell'isola che ci concede un giorno di festa tutti gli anni in data due febbraio.
In quest'occasione a Barcellona sono stato più turista che mai, nel buon senso della parola. Infatti, finalmente, dopo vari viaggi in questa città, sono entrato a la Sagrada Familia e al Parc Güell, luoghi che per un motivo o per l'altro non avevo mai visto per bene nelle visite precedenti. E, se il parco non mi ha emozionato troppo, la Sagrada Familia mi ha davvero impressionato. In tutti i dettagli si riconosce la mano del maestro Gaudí. Nel mio tour di Barcellona stavolta ho anche potuto visitare la Fundación Miro poco prima di ritornare a Tenerife.
Per quanto riguarda le visite, la prima in ordine cronologico è stata Sheila, una ragazza di familia italo-americana ma nata e cresciuta a Berlino che si è fermata per qualche giorno da me. Vi starete chiedendo come ci è finita a casa mia. Eccovi la risposta. Qualche giorno prima del suo arrivo ho ricevuto una mail da Felipe, un vecchio amico colombiano che avevo conosciuto nel mio primo anno sull'isola e con il quale sono rimasto in contatto.
In questo messaggio Felipe mi diceva che la sua amica Sheila stava arrivando a Tenerife per l'inizio del Carnevale e mi chiedeva se avevo voglia di prendermi una birra con lei e farle un po' da Cicerone. Se mi conoscete un pochino, potete perfettamente immaginare che per me è stato un piacere ospitarla per qualche giorno e portarla per esempio a mangiare pesce a Mesa del Mar e fare con lei una passeggiata a La Laguna. Abbiamo anche provato ad andare sul Padre Teide ma, causa neve, le vie d'accesso alla base del vulcano erano chiuse. Però non ci siamo persi d'animo e siamo andati a farci una bella mangiata di carne in uno dei guachinche del nord dell'isola.
A Carnevale, invece, non l'ho accompagnata perché lei era qui nel primo fine settimana di festa in strada e io mi sono voluto riservare per il secondo. Non solo perché gli anni cominciano a farsi sentire e non ho più il fisico per reggere quasi dieci giorni di festa, ma anche e soprattutto perché da martedì 13 a martedì 20 ho avuto la casa felicemente invasa da tre amici alla loro prima esperienza nel secondo miglior Carnevale del mondo.
Antonio, carissimo compare di Bari, e il suo amico Omar già dal primo giorno hanno potuto godersi un pranzo al sole in quel de El Médano e il Coso, la cavalcata "finale" delle feste carnavalesche. Le virgolette sono d'obbligo perché, in realtà, qui la festa non finisce con il Martedì Grasso, ma continua fino al sabato successivo, o all'alba di domenica. ;)
E allora siamo usciti il mercoledì delle ceneri per assistere, rigorosamente in nero, al funerale della nostra amatissima sardina. E quando poi, il giorno dopo, sotto forma di giovane andaluso rispondente al nome di Ramón, sono arrivati i rinforzi da Málaga abbiamo trovato le forze per uscire anche venerdì sera, sabato di giorno e parte della sera. Perché poi le gambe cominciavano ad accusare i classici indolenzimenti musculari da balli di Carnevale e perché il nostro Ramón, doveva essere in aeroporto all'ora di pranzo della domenica.
Credo che abbia passato le due ore di volo a dormire così come noi tre a Playa Jardín, al Puerto de la Cruz che, con i suoi panorami e un clima più che piacevole, ci ha aiutato a smaltire l'hangover accumulatosi nelle giornate precedenti. Ma non tutto è stato Carnevale. Abbiamo anche trovato il tempo e le forze di rendere visita al Padre Teide e di lì a Masca per mostrare ai miei amici che nel sud di Tenerife si può vedere il fratello minore di Machu Picchu. ;)
Evidentemente per fare tutti questi giri ci siamo dovuti alimentare bene e quindi siamo passati da San Andrés e da Los Abrigos per mangiare pesce, da un guachinche per proteine carniche, da La Garriga per il miglior panino di tortilla dell'arcipelago e dal Punto Criollo per fare viaggiare le nostre papille gustative fino alle peggiori areperas di Caracas ;)
Dopo tanti eccessi, gastronomici e paesaggistici, qualche giorno dopo ho fatto la pazzia di presentarmi alla dieci chilometri di sabato 24 a La Laguna dove, nonostante la dieta non proprio da atleta, ho fatto segnare un 50:11 che è il mio nuovo record personale. Alla prossima (e magari con un'arepa in più prima della corsa;) probabilmente riuscirò a scendere sotto i cinque minuti per chilometro.
Il giorno dopo, invece, sono stato al cinema per vedere in versione originale in inglese sottotitolata in spagnolo The shape of water, film di Guillermo del Toro, già regista di El laberinto del fauno. Vi consiglio entrambi i film, soprattutto il primo anche perché magari lo stanno passando al cinema anche in Italia.
Ma le visite non sono finite qui perché da martedì scorso e fino a ieri ho avuto la fortuna di conoscere Giulia Baruzzo, responsabile di Libera International, che ha visitato l'isola per partecipare a due eventi il cui obiettivo era presentare questa associazione e il gran lavoro che realizza per migliorare il mondo attraverso la lotta alle mafie. Con lei e altri preziosissimi collaboratori, ho organizzato e partecipato ad una delle due giornate.
Nei pochi momenti liberi da impegni lavorativi di entrambi, è stato un piacere fare un po' il turista con Giulia e portarla per esempio nel mio ristorante indiano preferito o a prendere un caffé alla meravigliosa casa in campagna del mio amico siciliano Carlo. Quest'ultimo poi è stato gentilissimo quando ci ha fatto da guida nel Palmetum di Santa Cruz, altro angolo magico dell'isola che consiglio a tutti di visitare.
Fino a qualche anno fa era praticamente una montagna di spazzatura in una zona non troppo periferica della città. Mentre oggi, soprattutto grazie al grandissimo lavoro di Carlo, è uno dei migliori orti botanici del mondo. Provare per credere!
E così siamo già arrivati ai primi di marzo e alla festa di ieri sera, o meglio alle feste di ieri alle quali si deve la resaca di oggi. Quello di ieri, infatti, è stato un bel sabato lagunero contraddistinto da capricci enogastronomici e un grande evento. Abbiamo iniziato con qualche vino e qualcosa da stuzzicare al Tocuyo, un classico de La Laguna.
Poi ho bevuto un paio di birre con Pia, amica uruguayana di vecchia data ormai residente a Granada e in vacanza a Tenerife per qualche giorno. In chiusura della giornata il grande evento, il compleanno di Dionisio. Vi starete chiedendo cosa abbia di speciale un semplice compleanno. Dovete sapere che il caro Diony non ha mai amato festeggiare i compleanni. Né quelli di altre persone e tantomeno il suo. Quest'anno, però ha deciso di festeggiare e la motivazione, cito testalmuente, è la seguente: "Quest'anno compio cinquant'anni e quindi dobbiamo festeggiare perché sono arrivato a metà della mia esistenza".
Abbiamo passato una gran bella serata in compagnia di vari amici, vecchi e nuovi e di varie provenienze e ci siamo dati appuntamento per festeggiare tra cinquant'anni esatti la seconda metà della sua esistenza. Siete tutti invitati ;) Nel frattempo, sorridete e fatevi contagiare dall'inarrestabile ottimismo di questo ragazzino venezuelano.
Ci risentiamo in primavera!
Un abbraccio,
Nico