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"Via...sur Ponte..!" per F. Sodi
VIA .... SUR PONTE!
(gròria pe' tutti ' 'Ombattenti)
Quer córpo 'n aria ' rriva dritt'ar còre,
ma l' aspettav' óm' aspettà ll' amore,
ci son avvézzo, sono 'r Combattente,
devo fa' forz'e nun penzà' più gnente,
'un devo vacillà, anco s' è dura
e mi ripeto... 'n c'è d' avè' ppaura,
devo spinge' di là quest' accidente
pe' la gròria del Giöo...pe' la gènte.
Forza ragazzi, forza, nun sia detto
che ci pòssino fa' 'vésto sgambetto
su Capitano, 'n cénno 'ólla fronte...
fàcci volà' 'n un córpo là dar Ponte.
Sento sur viso gocciolà' 'r sudore
ch' è 'r bacio della gròri' e dell' onore;
só' sfatto, ciò la vista ballerina,
ll'urtima spinta, giù la bandierina!
(Fulvio Sodi, luglio 2007)
La Laguna (44) per N. Cataldo
Ciao a tutti e buona estate!!!
Ormai ci siamo, no? Qui ancora non si nota tanto nel senso che le temperature
sono ancora gradevolmente primaverili. Però evidentemente, come praticamente
durante tutto l’anno, si può tranquillamente andare al mare.
E, infatti, proprio ieri sono andato a fare un paio di bagni nelle piscine di acqua
naturale di Bajamar.
Forse ve l’ho già detto, comunque si tratta di piscine che contengono acqua dell’oceano sparse in quei paesi dell’isola dove il mare arriva alla costa con più forza. Grazie a questo sistema di piscine e frangiflutti, si da l’opportunità ai bagnanti di fare un tuffo anche dove le onde sono molto alte.
Poi, dopo un paio di bagni, mangiata di pesce e vino blanco nella Cofradia de Pescadores, seguita da una bella siesta che ci voleva proprio anche perché in serata sono andato ad un concerto con susseguente botellón presso l’auditorio di Santa Cruz. Presso l’Auditorio ho assistito al primo concerto di musica classica della mia vita e devo ammettere che è stato meglio di quanto pensassi.
Vi starete chiedendo il perché di questa mia improvvisa passione.
Il mistero è presto svelato: ci sono andato perché un’amica di recentissima acquisizione, o meglio l’amica di un’amica, suonava il violoncello nello stesso concerto.
E allora dopo mi sono “infiltrato” nella comitiva formata da una parte dei musicisti
dell’orchestra.
Se non ricordo male, ero l’unico non musicista delle circa dieci persone
che con un piccolo tavolino zeppo di buon vino e qualcosina da stuzzicare brindavano
davanti al mare con alle spalle l’edificio progettato da Calatrava e soprattutto sotto un
bel cielo stellato.
Tutto ciò è successo ieri… e allora che succede oggi? Diciamo che sto aspettando degli amici che ho invitato a casa per vedere la finale della Champion’s League che comincierà tra circa un’ora.
E quindi avrete capito che vi sto scrivendo nel pomeriggio di questo ultimo sabato di maggio e che sto già incrociando le dita per il mio Madrid che stasera avrà il difficile compito di provare a battere un combattivo Atletico. In ogni caso sarà una grande partita… godetevela anche voi.
E parlando di belle partite, anche quella di domenica scorsa tra Barca e Siviglia non è stata affatto male. Dopo centoventi minuti di gran ritmo e tensione la squadra catalana è riuscita a sconfiggere la formazione andalusa per due a zero.
Il tutto davanti agli occhi delusi del mio amico sivigliano e siviglista Pato, che però quest’anno si può tranquillamente consolare con la Europa League che la sua squadra del cuore avevo vinto appena quattro giorni prima.
Vabbé, vedremo che succede stasera e in ogni caso (per festeggiare o per
consolarsi) nel post partita andremo ad un concerto jazz gratuito nella Plaza Santo Domingo, davanti all’ufficio postale de La Laguna.
E sicuramente non ci andrò solo stasera perché si tratta di un festival di jazz che durerà fino a sabato prossimo.
E quindi il fine settimana che è cominciato bene, continua anche meglio anche perché è un po’ piu lungo del solito perché in tutto l’arcipelago si festeggia el Dia de Canarias.
Un buon modo di celebrare la mia terra adottiva sarebbe andare ad una delle romerie che ci sono in giro per l’isola, non trovate? Vi farò sapere nel prossimo blog ;)
In questo, invece, mi tocca (e con grande piacere) continuare a parlare di musica
visto che voglio raccontarvi del primo venerdì di maggio quando ho passato il tardo pomeriggio e buona parte della serata a La Terrera, un ostello lagunero dove tutti i venerdì pomeriggio si può assistere e partecipare ad una cosa che è una via di mezzo tra una festa ed una jam session.
Non è stata la mia prima volta alla Terrera e io che non so suonare neanche il citofono, nel mio piccolo con un coltello e una bottiglia di vetro accompagno i musicisti ed i percussionisti e soprattutto canto con tutti gli altri improvvisati (ma bravissimi) musicisti. È un luogo che mi piace molto, ma era davvero un bel po’ che non ci andavo perché spesso mi coincide con l’orario lavorativo.
Stavolta, invece, potevo andarci e in più c’erano due amici in visita: Manu e Doramas, uno degli habitué de La Terrera.
Finita la jam session, ci siamo fiondati al Tin Tin e una volta chiuso anche questo
locale, siamo andati a chiudere anche il Blues Bar. Ad un certo punto della serata
parlavamo con un ragazzo francese al quale siamo arrivati a dire che dovevamo
rimanere fino alla fine perché avevamo le chiavi del locale ;)
E a dire la verità, siamo ritornati sul luogo del delitto anche il giorno dopo e un’altra volta ci siamo rimasti fino alla chiusura.
Come avrete capito, soprattutto se mi leggete da un po’, il Blues Bar è il mio locale de La Laguna preferito, ma devo ammettere che erano anni che non ci andavo due sere di seguito.
In realtà, il sabato è stata una cosa un po’ improvvisata perché inizialmente il programma della serata prevedeva solo suonare qualche canzone a casa mia con gli amici in visita e con la chitarra che Sergio aveva lasciato qui.
Poi, però, ho tirato fuori una bottiglia di ron miel che in quattro persone abbiamo
svuotato in un paio di ore e che ci ha dato l’ispirazione e l’impulso non solo per
suonare e cantare a casa, ma anche per uscire a ballare.
Va bene… basta con la música! Vi racconto allora dell’ultimo libro che ho letto e della
storia che c’è dietro. Grazie a Facebook, ho ritrovato un amico romano d’infanzia del
quale non sapevo nulla da più di vent’anni.
Da bambini le nostre famiglie andavano in vacanza tutte le estati nello stesso posto e qualche settimana fa ho scoperto che Cesare, detto Rollo, aveva da poco pubblicato un libro e allora mi sono messo in contatto con lui per averne una copia.
Tra mille difficoltà, dovute soprattutto alla spedizione e a noie doganali, il suo libro mi è arrivato e fortemente incuriosito prima ed appassionato poi, l’ho praticamente divorato.
E allora Rollo se mi stai leggendo, ancora una volta complimenti per il tuo primo romanzo.
Tra l’altro anche il prossimo libro che leggerò ha dietro una storia particolare: mi è stato
regalato da un mio ex studente. L’autore è suo fratello, un innamorato del bel
paese, e il libro, anche se scritto in spagnolo, è ambientato quasi totalmente in
Sicilia. Vi farò sapere ;)
All’inizio del blog vi parlavo di clima primaverile e una delle magnifiche conseguenze di questo clima sono i Tajinaste in fiore nel parco nazionale del Teide.
La gente di qui dice che bisogna andare a fare visita al Padre Teide almeno una
volta al mese perché il paesaggio cambia costantemente e io, con la scusa di qualche visita, provo a farlo.
Se devo essere sincero, non ci andavo da febbraio quando ero andato a vedere la neve.
Stavolta il paesaggio era diverso e ancora più bello: a circa 2200 metri iniziavano ad apparire delle piante alte più di due metri che con il loro colore rosso completano la vista fatta di piccoli arbusti tra il verde e il giallo e piedra vulcanica nera. I Tajinaste sono piante endemiche che crescono solo nel parco nazionale del Teide e dal quale si ricava un miele dolcissimo.
Infatti, quando ti ci metti affianco per scattarti una foto, puoi sentire il ronzio
delle api che lo circondano.
Qualche giorno fa un amico mi ha detto che la vita è meravigliosa e allora siate
laboriosi come le api e dolci come il miele che producono ;)
Un abbraccio,
Nico
Emergency, 21 anni di medicina...e amore
Il Dtt.re Gino Strada, chirurgo riconosciuto come Fondatore de "Emergency" ha stato premiato in riconoscimento al suo lavoro svolto in zone di guerra e povertà in diversi luoghi nel mondo. Il messaggio è semplice: "Non fare la guerra"
Purtroppo ci manca ancora tanto perché i governi e dirigenti capiscano l'importanza del suo lavoro, e la ragione che lo spinge a guardare la guerra come una cosa atroce, che lo è affatto. Questo è il suo discorso del 2015, lo presentiamo oggi giorno del 21 aniversario di questa Onlus che fatta del lavoro continuo de Volontari e tanto amore e vera voglia di una cultura de Pace, speriamo sia vicina anche a voi, anche in spagnolo. Tanti Auguri, Emergency!
"Onorevoli Membri del Parlamento, onorevoli membri del Governo svedese, membri della Fondazione RLA, colleghi vincitori del Premio, Eccellenze, amici, signore e signori.
È per me un grande onore ricevere questo prestigioso riconoscimento, che considero un segno di apprezzamento per l'eccezionale lavoro svolto dall'organizzazione umanitaria Emergency in questi 21 anni, a favore delle vittime della guerra e della povertà.
Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente,
America Latina e Europa.
Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili.
A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo.
Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette "mine giocattolo", piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette.
Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un
po', fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi. Bambini senza
braccia e ciechi. Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l'aver visto tali atrocità mi ha
cambiato la vita.
Mi è occorso del tempo per accettare l'idea che una "strategia di guerra" possa includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del "paese nemico".
Armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili.
Alcuni anni fa, a Kabul, ho esaminato le cartelle cliniche di circa 1200 pazienti per scoprire che meno del 10% erano presumibilmente dei militari. Il 90% delle vittime erano civili, un terzo dei quali bambini. È quindi questo "il nemico"? Chi paga il prezzo della guerra?
Nel secolo scorso, la percentuale di civili morti aveva fatto registrare un forte incremento passando
dal 15% circa nella prima guerra mondiale a oltre il 60% nella seconda.
E nei 160 e più "conflitti rilevanti" che il pianeta ha vissuto dopo la fine della seconda guerra
mondiale, con un costo di oltre 25 milioni di vite umane, la percentuale di vittime civili si aggirava
costantemente intorno al 90% del totale, livello del tutto simile a quello riscontrato nel conflitto afgano.
Lavorando in regioni devastate dalle guerre da ormai più di 25 anni, ho potuto toccare con mano questa crudele e triste realtà e ho percepito l'entità di questa tragedia sociale, di questa carneficina di civili, che si consuma nella maggior parte dei casi in aree in cui le strutture sanitarie sono praticamente inesistenti.
Negli anni, EMERGENCY ha costruito e gestito ospedali con centri chirurgici per le vittime di guerra
in Ruanda, Cambogia, Iraq, Afghanistan, Sierra Leone e in molti altri paesi, ampliando in seguito
le proprie attività in ambito medico con l'inclusione di centri pediatrici e reparti maternità, centri di
riabilitazione, ambulatori e servizi di pronto soccorso.
L'origine e la fondazione di EMERGENCY, avvenuta nel 1994, non deriva da una serie di principi e dichiarazioni. È stata piuttosto concepita su tavoli operatori e in corsie d'ospedale. Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare.
In 21 anni di attività, EMERGENCY ha fornito assistenza medico-chirurgica a oltre 6,5 milioni di persone. Una goccia nell'oceano, si potrebbe dire, ma quella goccia ha fatto la differenza per molti. In qualche modo ha anche cambiato la vita di coloro che, come me, hanno condiviso l'esperienza di EMERGENCY.
Ogni volta, nei vari conflitti nell'ambito dei quali abbiamo lavorato, indipendentemente da chi
combattesse contro chi e per quale ragione, il risultato era sempre lo stesso: la guerra non
significava altro che l' uccisione di civili, morte, distruzione. La tragedia delle vittime è la sola verità
della guerra.
Confrontandoci quotidianamente con questa terribile realtà, abbiamo concepito l'idea di una comunità in cui i rapporti umani fossero fondati sulla solidarietà e il rispetto reciproco.
In realtà, questa era la speranza condivisa in tutto il mondo all'indomani della seconda guerra mondiale. Tale speranza ha condotto all'istituzione delle Nazioni Unite, come dichiarato nella Premessa dello Statuto dell'ONU:
"Salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa
generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità, riaffermare la fede nei diritti fondamentali
dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti degli uomini e
delle donne e delle nazioni grandi e piccole".
Il legame indissolubile tra diritti umani e pace e il rapporto di reciproca esclusione tra guerra e diritti erano stati inoltre sottolineati nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta nel 1948. "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti" e il "riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo".
70 anni dopo, quella Dichiarazione appare provocatoria, offensiva e chiaramente falsa.
A oggi, non uno degli stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all'istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale. All'inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi.
La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme. Cancellando il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani.
Vorrei sottolineare ancora una volta che, nella maggior parte dei paesi sconvolti dalla violenza, coloro
che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come noi, nove volte su dieci. Non dobbiamo mai
dimenticarlo.
Solo nel mese di novembre 2015, sono stati uccisi oltre 4000 civili in vari paesi, tra cui Afghanistan,
Egitto, Francia, Iraq, Libia, Mali, Nigeria, Siria e Somalia. Molte più persone sono state ferite e mutilate,
o costrette a lasciare le loro case.
In qualità di testimone delle atrocità della guerra, ho potuto vedere come la scelta della violenza abbia - nella maggior parte dei casi - portato con sé solo un incremento della violenza e delle sofferenze. La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l'uso della violenza.
Sessanta anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russell-Einstein: "Metteremo fine al genere umano o l'umanità saprà rinunciare alla guerra?". È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano?
Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero, ma ciò non dimostra che il
ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un
traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non
significa che debba essere parte anche del nostro futuro.
Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare.
Come medico, potrei paragonare la guerra al cancro. Il cancro opprime l'umanità e miete molte vittime:
significa forse che tutti gli sforzi compiuti dalla medicina sono inutili? Al contrario, è proprio il persistere
di questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per prevenirla e sconfiggerla.
Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte.
È anche il più urgente.
Gli scienziati atomici, con il loro Orologio dell'apocalisse, stanno mettendo in guardia gli esseri umani: "L'orologio ora si trova ad appena tre minuti dalla mezzanotte perché i leader internazionali non stanno eseguendo il loro compito più importante: assicurare e preservare la salute e la vita della civiltà umana".
La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell'immaginare, progettare e implementare le
condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino alla completa
disapplicazione di questi metodi. La guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata.
La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente.
L'abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione.
Possiamo chiamarla "utopia", visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento.
Molti anni fa anche l'abolizione della schiavitù sembrava "utopistica". Nel XVII secolo, "possedere degli schiavi" era ritenuto "normale", fisiologico.
Un movimento di massa, che negli anni, nei decenni e nei secoli ha raccolto il consenso di centinaia
di migliaia di cittadini, ha cambiato la percezione della schiavitù: oggi l'idea di esseri umani incatenati
e ridotti in schiavitù ci repelle. Quell'utopia è divenuta realtà.
Un mondo senza guerra è un'altra utopia che non possiamo attendere oltre a vedere trasformata in realtà.
Dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l'idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell'umanità.
Ricevere il Premio "Right Livelihood Award" incoraggia me personalmente ed Emergency nel suo
insieme a moltiplicare gli sforzi: prendersi cura delle vittime e promuovere un movimento culturale
per l'abolizione della guerra.
Approfitto di questa occasione per fare appello a voi tutti, alla comunità dei colleghi vincitori del Premio, affinché uniamo le forze a sostegno di questa iniziativa.
Lavorare insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che possiamo fare per le generazioni future.
Grazie.
Gino Strada
Stoccolma, 30 novembre 2015